È sempre molto difficile scrivere di scenari futuri e di prospettive per le nuove generazioni, ma, occupandomi di strategia aziendale mi capita spesso di analizzare le possibili evoluzioni del presente. Sono andato da poco a Bruxelles, per vedere da vicino il funzionamento della commissione europea e le possibilità per nuove start-up di ottenere finanziamenti.
Questa visita ha confermato la visione di un futuro sempre più orientato alla creazione di giganti organizzati, siano essi aziende o città, ospedali o aeroporti, asili o università, in grado di offrire servizi di alta qualità in maniera efficiente a coloro che gravitano nella loro orbita, rendendo, però, sempre più difficile la vita nelle periferie, abbandonate a sé stesse e prive dei servizi più elementari.
Uno dei principali obiettivi della politica europea è quello di facilitare la creazione e la razionalizzazione delle cosiddette smart cities. Accorpare in grandi agglomerati urbani i principali servizi, in modo da convincere la maggioranza della popolazione a vivere in queste enormi città, dotate di tutti i confort, attente all’ambiente, ma senza dubbio carenti di quella dimensione umana che caratterizza le città di provincia, i paesi di montagna, i piccoli borghi marini, e il cui spopolamento costituisce senz’altro un impoverimento culturale (si pensi al cibo, alle coltivazioni di nicchia, alle tradizioni popolari, alla salvaguardia del territorio), ma anche e soprattutto una spersonalizzazione che distrugge le nostre radici, il nostro attaccamento alla patria e ci rende cittadini del mondo, più tolleranti, ma meno solidali verso il prossimo.
D’altronde questo obiettivo è sollecitato dalla previsione che nel 2030 gli europei saranno la popolazione più anziana del mondo, con una media di 45 anni (ben 5 anni in più rispetto agli USA e 24 rispetto all’Africa), e le sfide sociali saranno sempre più importanti perché dovranno rendere sostenibili sia la mobilità che le cure necessarie a questo nuovo scenario. A questo si aggiunga il fatto che la percentuale di popolazione mondiale residente in Europa nel 2060 rappresenterà soltanto il 4% del totale (già oggi la popolazione europea rappresenta il 6% del totale), obbligando le nostre imprese ad esportare gran parte della loro produzione verso mercati esteri. Per questo motivo l’Unione Europea stimola investimenti in settori quali digitale, trasporti e infrastrutture energetiche. Creare grandi imprese in grado di competere con giapponesi, americani, cinesi e indiani è la vera sfida da qui al 2030.
La popolazione universitaria in Italia si mantiene stabile, anche se i dati sul conseguimento del titolo di studio meritano qualche riflessione. Infatti soltanto il 20% circa degli studenti universitari raggiungono la laurea magistrale, e soltanto il 31% la laurea triennale. Negli ultimi cinque anni, più di 240.000 giovani hanno lasciato il nostro paese per cercare lavoro in altri Stati. Di questi circa il 50% in possesso di Laurea. Il fenomeno dell’emigrazione giovanile, soprattutto di quella formata e più sensibile agli aspetti etici del vivere civile, rende evidente l’impoverimento culturale al quale si espone il nostro paese. Il sud vede i suoi giovani migliori emigrare al nord per cercare opportunità lavorative che al sud latitano, il nord d’altro canto vede i suoi giovani migliori emigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro.
Ritornando alle smart cities e alla cultura delle Big companies che pian piano sta insinuandosi anche nella vecchia Europa, possiamo facilmente prevedere quale sarà il futuro che ci attende. Facendo un paragone con il settore alimentare, ricordo che 40 anni fa, la maggior parte di noi faceva la spesa nel negozietto sotto casa, c’erano tanti negozi specializzati: il negozio di alimentari, il macellaio, il pescivendolo, il venditore di frutta e verdura, il piccolo negozietto di materiale elettrico, il negozio di abbigliamento indipendente, il negozio di scarpe indipendente. Nel corso degli anni, prima nelle grandi città e poi anche in provincia, i supermercati hanno costretto quasi tutti i piccoli negozietti chiudere i battenti, ora stiamo assistendo alla chiusura dei supermercati cittadini in favore dei grandi ipermercati siti in zone commerciali periferiche.
D’altro canto anche i finanziamenti europei per le start up, non agevolano certo la piccola imprenditoria. L’orientamento dominante è quello di aiutare le idee imprenditoriali che hanno un contenuto innovativo molto rilevante, e che sono in grado di dar vita ad imprese con uno spettro d’azione globale, in grado di competere su scala mondiale. L’Europa vuole la sua Microsoft, la sua Apple, la sua Samsung, la sua Huawei, il suo Alibaba, la sua Komatsu, la sua Seiko.
La nuova ottica richiesta è quella di creare aziende strutturate, in grado di competere nel mercato globale, di quotarsi in borsa per accedere più facilmente al mercato dei capitali.
Questo aspetto è stimolato anche dalle nuove modalità di finanziamento per le start up. Infatti la Commissione europea e il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) hanno lanciato un programma paneuropeo di fondi di fondi di capitali di rischio (VentureEU) che vuole agevolare l’investimento di capitale di rischio nelle start-up e scale-up innovative in tutta Europa. Accanto a questo, molto importante è il programma InvestEU, che dal 2021 al 2027 fornirà sostegno a quei progetti considerati di importanza strategica in tutta l’Unione Europea, mobilitando oltre 650 miliardi di Euro di investimenti pubblici e privati per migliorare la competitività europea e l’occupazione.
Secondo la visione europea, le piccole imprese sono destinate a scomparire o a sopravvivere in nicchie di mercato, non interessanti per le grandi imprese. Ai nostri giovani e ai nostri imprenditori viene richiesto lo sforzo di pensare in grande, di essere innovativi (disruptive, come direbbero negli USA), di avere un’ottica manageriale nella gestione aziendale, volta all’efficienza e all’innovazione.
Abbiamo bisogno di politici con una visione più ampia, con un orizzonte temporale pluriennale, di percorsi formativi completi e all’avanguardia, che creino quelle professionalità necessarie per lo sviluppo industriale del nostro Paese, che, così, innescherà quel circolo virtuoso in grado di offrire migliori opportunità lavorative, più stimolanti ed appaganti. Dobbiamo trattenere i nostri giovani più promettenti, e al tempo stesso restare attaccati al treno delle economie più avanzate, indirizzando la formazione e la nostra economia verso quei settori ad alto contenuto tecnologico e ad alto valore aggiunto che potrebbero consentirci di superare l’attuale stagnazione dell’economia.